Mussat Sartor: CV
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Simone Mussat Sartor (Torino, 1972) vive e lavora a Torino.
Dopo una formazione di carattere umanistico-filosofico, inizia a collaborare come assistente presso diversi studi d’artista, coniugando fin da subito la pratica visiva con una solida dimensione teorica. Dalla metà degli anni Novanta affianca all’attività di interior designer quella di artista visivo, approfondendo inizialmente il linguaggio del video e, a partire dal 2008, concentrando la propria ricerca espressiva sulla fotografia.
Nel 2006 assume la direzione creativa del brand Born in Berlin, dedicato alla pelle e alla moda, fondato insieme a Judith Hohnschopp. Nel 2018 co-fonda, con Pierfranco Giolito, il marchio di design Magdathome, il cui concept si fonda sull’interazione tra ferro e pelle, in una visione estetica essenziale e artigianale.
Simone Mussat Sartor. In assenza
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La galleria Biasutti & Biasutti è lieta di presentare la mostra personale dedicata a Simone Mussat Sartor, “In assenza” (Torino, 1972). Attraverso quattro nuclei tematici distinti ma interconnessi, Mussat Sartor costruisce un percorso visivo intimo e frammentato, che indaga la relazione tra corpo, spazio e percezione. Le sue immagini raccontano silenzi, catturano pause, aprono varchi tra ciò che è visibile e ciò che è appena suggerito.
Nel primo nucleo, il corpo si frammenta e si sottrae, riducendosi a dettaglio, a postura, a peso. Le gambe — separate dal volto, dalla narrazione identitaria — diventano anatomie anonime, superfici attraversate da tensioni silenziose: il desiderio, la vulnerabilità, la durata. Non c’è identità, ma traccia. Non c’è posa, ma permanenza.
Dal corpo si passa allo spazio: luogo del passaggio e della separazione. La finestra, soggetto e soglia insieme, è superficie che filtra, riflette, protegge o espone. Qui, Mussat Sartor si muove tra trasparenze e opacità. Ogni scatto suggerisce una distanza, uno sguardo che non può — o non vuole — oltrepassare. Guardare diventa un gesto ambiguo: voyeuristico o difensivo, affettivo o sospettoso. Le finestre non sono solo oggetti, ma condizioni percettive: dispositivi dell’intimità, del controllo, dell’immaginazione. Sono spazi liminali, dove l’osservazione si fa incertezza. Dentro e fuori si mescolano. Il visibile è sempre parziale, sempre riflesso.
Dalle soglie si entra negli spazi abitati: gli interni. Qui, il corpo riappare, ma resta decentrato. Figure umane sono colte in momenti di sospensione: un’attesa, un silenzio, un pensiero che le porta altrove. Lo sguardo non è mai rivolto all’obiettivo: si perde nel fuori campo o si chiude dentro. Gli ambienti non sono solo contesti, ma prolungamenti emotivi dei soggetti. Luoghi dove la presenza è filtrata dal tempo, dal ricordo, da una malinconia trattenuta. Ogni interno diventa uno stato mentale, un tempo immobile. Mussat Sartor restituisce una quotidianità muta, scavata, in cui l’immagine non illustra ma ascolta.
A chiudere la mostra, un ciclo seriale di Polaroid scattate in Iran durante un viaggio dell’artista. Le immagini, tutte realizzate dal finestrino di un’auto in corsa e sempre dalla stessa posizione, trasformano il gesto del fotografare in un rituale ripetitivo e meditativo. Frammenti di paesaggio urbano e rurale scorrono come un diario visivo, come visioni sospese, filtrate dal vetro, dal movimento, dalla distanza. Non è tanto l’Iran ad essere raccontato, quanto la condizione dello sguardo in viaggio, costretto ai margini, ma profondamente partecipe. Ogni scatto è un esercizio di attenzione e limite. Non si tratta di conoscere un luogo, ma di sostare in quel punto di vista obbligato, tra dentro e fuori, partecipazione e separazione.
Uno sguardo che non possiede, non indaga, ma si lascia attraversare — ancora una volta, interrotto.
Giorgio Ramella: CV
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Giorgio Ramella (Torino, 1939) è un pittore e incisore italiano, figura rilevante nel panorama artistico del secondo Novecento. Dopo la maturità classica, si formò all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove fu allievo di Enrico Paulucci per la pittura e di Mario Calandri per le tecniche incisorie.
Esordì negli anni Sessanta con una mostra collettiva alla Galleria La Bussola di Torino, dove ha esposto insieme a Ruggeri, Saroni, Soffiantino e Gastini e dove, nel 1964, tenne la sua prima personale. Le sue opere iniziali, riunite sotto il titolo “Incidenti”, si caratterizzavano per una tensione formale e materica: strutture deformate, metalli, ombre, in un contesto espressivo drammatico e rigoroso.
Negli anni successivi, Ramella intraprese una ricerca più astratta, legata agli effetti della luce, per poi tornare negli anni Ottanta a una figurazione carica di tensione simbolica e cromatica. Una delle sue opere più importanti di questo periodo è la grande Crocifissione del 1994, oggi nelle collezioni della GAM di Torino. Un viaggio a New York lo portò a confrontarsi con i graffiti urbani, che influenzarono una nuova fase ispirata ai linguaggi primitivi e rupestri, con superfici materiche e segni evocativi. La sua opera ha sempre cercato un equilibrio tra rigore compositivo, emozione e stratificazione storica.
Ramella si formò e lavorò in un ambiente artistico vivace e complesso, influenzato da correnti internazionali ma anche fortemente legato alla tradizione torinese dell’incisione e della sperimentazione formale. La Torino degli anni Sessanta e Settanta era attraversata da fermenti intellettuali che andavano dall’arte povera alla nuova figurazione, in un dialogo costante tra memoria e innovazione. In questo scenario, Ramella mantenne una posizione autonoma: vicino alle ricerche contemporanee ma mai pienamente allineato, capace di costruire un linguaggio personale che rifletteva tanto le tensioni del presente quanto un’esigenza interiore di senso e di forma. Ha esposto in prestigiose sedi italiane e internazionali, tra cui la Quadriennale di Roma, la Biennale dell’Incisione a Venezia, il Castello di Rivoli, il Museo d’Arte Moderna di San Paolo del Brasile e il Complesso del Vittoriano a Roma. Oltre alla pittura, Ramella ha realizzato opere murali, tra cui una nel 2003 per il MAU – Museo d'Arte Urbana di Torino. Nel 2017 due sue opere furono incluse nella mostra sulla Pop Art italiana alla GAM di Torino.
Attualmente, vive e lavora a Torino, continuando la sua attività artistica con rinnovato vigore creativo.
Sergio Ragalzi: CV
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SERGIO RAGALZI (Torino, 1951 – 2024). Esordisce sulla scena contemporanea dell’arte italiana all’inizio degli anni Ottanta, con mostre personali e collettive tra cui quelle presso la Galleria L’Attico di Roma, con la quale avrà nel corso degli anni un rapporto privilegiato. Nel 1985 partecipa alla mostra “Anniottanta” alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Nello stesso anno, oltre ad essere invitato al Museo de Arte di San Paolo in Brasile, sarà presente con alcune opere al Centre National d’Art Contemporain di Nizza in occasione della mostra “L’Italie Aujour’dui”, a cura di A.B. Oliva, Maurizio Calvesi, Antonio Del Guercio e Filiberto Menna. Nel 1986 partecipa alla mostra itinerante tra Francoforte, Hannover e Vienna, dal titolo “Aspekte der italienischen Kunst 1960 – 1985”, curata da Renato Barilli. Dieci anni dopo, partecipa alla XII Quadriennale d’Arte al Palazzo delle Esposizioni a Roma. Nel 1997 vince il Premio della Camera dei Deputati che per l’occasione ne acquisisce un’opera. Nel 2001 le sue sculture vengono esposte alla mostra “La scultura italiana del XX secolo, Italia in Giappone 2001 – 2002” nei tre musei d’arte moderna giapponesi di Ibaraki, Yokoama e Kagoshima. Nel 2007 viene organizzata una sua mostra antologica negli spazi della fabbrica Pagliero a Castellamonte. Nel 2010, l‘installazione Genetica 2093 è presentata presso gli spazi dell‘Auditorium di Roma, al SuperstudioPiù a Milano, presso la Lucas Carrieri Art Gallery di Berlino in occasione della sesta Biennale d’arte di Berlino, quindi a Torino in via Palazzo di Città e presso il Castello di Rivara. La stessa installazione è stata presentata a Roma, al MACRO. Dal 2010 numerose sono state le esposizioni nelle gallerie private e istituzioni pubbliche sia in Italia che all’estero.